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Buoni cattivi o specchi rotti?

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Tanta voglia di scrivere da non farlo. Partire da un punto come per ricostruire una vita e svitarla di nuovo. Citare a caso o in ordine cronologico le ultime offese, ovvero “constatazioni” nell’ottica di chi offende. E non farlo.

Echi del mal ricevuto ― nessuna licenza letteraria ― alla lettera: ricevuto male, come una notizia di diagnosi maligna errata consegnata al corpo del suicida. Della suicida. Qui, sarebbe opportuno distinguere il genere per più di una ragione, intanto, dato che parlo di me e io sono una donna.

L’elenco degli epiteti è lungo ma non ampio e stupisce sempre meno. Quello che stupisce, quasi sempre allo stesso modo, è la cattiveria che muove la parola. Lo strumento rozzo in altre attività che si trasforma e affina, sembra, all’improvviso, proprio là e solo là: nell’atto dell’ingiuria contro la Donna. Qui, di colpo ― in colpo ― si è giudici, psichiatri, mentori maligni, medici avvelenanti. Qui, si consuma la frustrazione e si ripara lo specchio annerito da dietro sorvolando sulle crepe che segnano la fronte.

L’ultimo ti dice che sei una “tossica schifosa non voluta dai tuoi genitori e per questo sei una merda e infelice oltre a psicopatica, psicolabile, paranoica e senza speranza”. Ribadisce anche che “meriti tutto il peggio che ti è accaduto”. Il peggio che "ti è accaduto" include uno stupro e almeno due relazioni violente.

Altri appellativi, sul tono di “cozza slabbrata e marchettara” ― termine poco utilizzato ― nella lettura di chi l’ha usato significa che “è buono e in fondo più di tanto non dice”. Sottinteso: “più di tante cattiverie”.

Questa smania di essere riconosciuto come buono o cattivo, l’avevi notata anche nella relazione precedente. Tu sei figlia unica. Non hai mezzi di paragone, non hai idea se sia possibile che esista un figlio prediletto. Puoi giusto immaginare che un figlio possa sentirsi meno amato. Ribadisci: non hai strumenti neanche per ipotizzare. Avendoli, eviteresti in ogni caso. Tuttavia, ritornando elementi specifici, ritorna anche il pensiero che li muove.

Non è a te che va detto che non si è cattivi, ovvero: si è buoni. Non sei tu l'interlocutrice, soprattutto dopo le offese ― e come si fa a non capire?

Quello che stupisce, invece (o appunto) è la evidenza del meccanismo: uno scheletro architettato oppure una architettura innestata nello scheletro; qualcosa che, in sostanza, regge il resto e fa le veci della struttura. Si tratta, provando a delinearla, di una mostruosità a tratti innocua ma in potenza letale, se rivolta contro il recettore appropriato. In questo caso, a ricevere sei stata tu, o io. Io come donna, non come singolarità, ma come presunta compagna, fidanzata, “donna di…”.

Donna come ricevente, come scarico, come pattumiera e riciclo, donna che comunque è infida e prima o poi tradisce ― cosa o chi? ― donna che “per natura” lo fa, donna che per natura è in vendita e se non lo è, nasconde qualche magagna più sordida. Donna che è per necessità ― di chi vuole sceglierla così ­― fragile. Anzi,  è stato specificato, “non fragile, fragilissima”. Eppure, a me (forse perché donna?) hanno insegnato una morigeratezza nell’uso dei superlativi assoluti.

“Ti amo” non necessita di un “tantissimo”.

Impossibile è quantificare il danno morale, la dissonanza e lo spaesamento provocati dai comportamenti del salvatore-carnefice. Ingiusto è giudicare chi resta in quelle storie. Per chi ne esce, la vita che segue è comprensibile, davvero, solo per le donne che hanno vissuto storie simili.

Qualcuna preferirebbe non comprendersi con nessuna se questo dovesse significare essere l’ultima o l’unica che ha subito.

Per me, aderisco a questa posizione: se fosse così, preferirei restare non compresa poiché il mondo che scelgo e desidero, resta sempre un mondo privo di prevaricazione fisica e psicologica.

E la mia Rivoluzione resta, sempre, una rivoluzione pacifica e definitiva, fatta di presa di coscienza collettiva simultanea. Purtroppo non è così, ora. Sono una idealista.

Mi pare che anche questa parola mi sia stata tirata contro come uno sputo, ma in quell’occasione, l’ho schivato, lo so per certo. E infatti sono qui.

 

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